9 ottobre 2016
Ai primi di ottobre siamo stati a Ferrara per la fiera del commercio equo e solidale Tuttaunaltracosa che si tiene in contemporanea con il Festival della rivista Internazionale. Tre bellissimi giorni di sole in cui si incontrano tanti amici, insieme a clienti nuovi.
Ad un tratto la domenica si avvicina al nostro stand un ragazzo che parla inglese. Assaggia la cioccolata e presto capiamo che in realtà parla spagnolo e proseguiamo la conversazione. Probabilmente è un giornalista messicano invitato al Festival.
Mentre assaggia, gli occhi gli si illuminano, si commuove e alla fine confessa: "Questo è il cioccolato che faceva la mia nonna!!".
Noi raccontiamo quotidianamente questo prodotto e diciamo sempre che Modica è l'unica città in Europa dove si continua a farlo come lo facevano gli originari creatori e ricordiamo che, anche se lo chiamiamo "di Modica", è nelle comunità indigene in Messico e Guatemala che questo cioccolato si è sempre fatto e si continua a farlo, per quanto con un'altra forma, a sigaro o a medaglia.
E in una piazza di Ferrara, in un pomeriggio di ottobre, tutte le pretese di originalità e unicità del prodotto che si vogliono far valere, cadono di fronte agli occhi lucidi del nostro amico messicano, che ci racconta di come la nonna lo preparava per i suoi nipotini, del profumo di cacao che gli entrava dentro e del sapore che ritrova uguale nella barretta che sta assaggiando.
Ricordiamoci che l'IGP di cui oggi tanto si parla a Modica ha l'obiettivo di definire e difendere un mercato costruito negli ultimi decenni, ma ha poco a che fare con la storia: semplicemente godiamo dell'invenzione di altri, di una storia fatta di scambi, mescolanze e conquiste avvenute centinaia di anni fa e non ancora finite.
Davanti al nostro amico messicano e ai suoi ricordi, è evidente che ci vuole coraggio e faccia tosta a chiamarlo "cioccolato di Modica"!
Ma è vero che è anche diventato un patrimonio nostro perché solo qui l'abbiamo conservato così e vorremmo continuare a farlo proprio "alla messicana", perché questa è l'umanità che ci piace: quella che passa il tempo a scambiarsi invenzioni, identità, appartenenze e non ad alzare muri.